giovedì 13 agosto 2015

106. 28 ottobre 1997 - RADIOHEAD

Against Demons Tour
PalaVobis (Milano)
Supporter: Sparklehorse
Durata: 2h
Prezzo: 36000 Lire
Posizione: 1° Fila
Sold-Out: No
Pubblico: Pieno







Ricordo distintamente dove mi trovavo, con chi ero e quale fu la sensazione che provai nell'ascoltare per la prima volta OK Computer.

A casa di V., in terrazzo durante un caldo pomeriggio primaverile, tra sigarette e birre ghiacciate. Quelle canzoni suonate sullo stereo a far da sottofondo di un gruppetto di amici più o meno venticinquenni, impegnato in chiacchiere che più frivole non potevano essere. La mia attenzione deviava sempre più dalle voci per concentrarsi sui suoni. Al terzo o quarto pezzo che mi toglieva il fiato chiesi lumi a M. che mi diede i dati essenziali: Radiohead, nuovo album, capolavoro. 

Da lì ebbe inizio un periodo di ascolti ossessivi dei 3 album sino ad allora dati alle stampe dalla band inglese. Pablo Honey era un diamante grezzo. The Bends un album di canzoni splendide con alcuni pezzi epici e OK Computer ... era semplicemente uno degli dischi più belli e completi della storia della musica. 

Carichi di queste aspettative ci approcciammo al concerto che l'autunno seguente arrivò al compianto PalaTrussardi (in quel periodo storico ribattezzato PalaVobis).
L'obbiettivo non poteva che essere prima fila: l'apertura dei cancelli venne preceduta da una estenuante attesa fuori dai cancelli nell'accogliente parcheggio di Lampugnano. Nulla che non avessimo già fatto decine di volte. E poi la corsa alla transenna, la scelta della porta e della scala giusta precedentemente concordata, senza guardarsi alle spalle per alcun motivo. E fronte-palco fu, io e V. ben saldi, inamovibili sulla sinistra del palco. Gli altri dietro di noi.

Come avevamo fatto prima di entrare annegammo l'attesa nella birra e nel fumo: erano altri tempi. A Sparklehorse il compito di aprire lo show: solo ora scopro che Mark Linkous, l'unico componente della band, si è suicidato nel 2010. Purtroppo, pur non avendo ricordi negativi del suo set, non posso neanche dire di averne di positivi. Mi spiace un po'.

E poi loro: nelle due ore di concerto, come è uso dei Radiohead, nessuna concessione alla simpatia, al calore, ai saluti, ai ringraziamenti e alle richieste di tenere il tempo. Nulla di tutto ciò: il calore veniva solo dalla loro musica, dalla scaletta che era un continuo alternarsi di tristi ballate e potenti pezzi rock, dai movimenti scoordinati di Thom Yorke, dalla sua voce imprevedibile, dolce e bassa sui pezzi lenti e improvvisamente nervosa su quelli più tirati. Su un palco senza fronzoli i 5 proposero una scaletta il cui impianto centrale era equamente (e stranamente) suddiviso tra OK Computer e The Bends, con 10 pezzi ciascuno, a cui vennero aggiunte Creep e Thinking About You da Pablo Honey. Se non era la scaletta perfetta, poco ci mancava. Ventidue pezzi che chi c'era, col senno di poi, avrebbe fatto bene ad imprimersi bene nella memoria e godersi in quel momento al massimo delle possibilità umane, vista l'idiosincrasia maturata dalla band per la produzione pre Kid A dal 2003 in poi. 

Noi eravamo alla testa di una massa di esseri umani che pareva mossa da vita propria: seguendo le melodie delle canzoni l'enorme blob si muoveva lentamente ma inesorabilmente, col risultato di dividerci: io e V. inseparabili dalla transenna. Gli altri persi, sempre più lontani. Ma alla fine ci ritrovammo tutti, egualmente sudati, esausti e felici.
Quei Radiohead, quelli lì, per me finirono quella sera, dopo 6 mesi di passione sfrenata. Ho amato la loro produzione successiva, da Kid A in poi, ma non sarebbe più stata quella cosa lì.



Quasi quasi la prossima volta che vedo le mie nipoti racconterò loro di quando, quasi 20 anni fa, vidi in prima fila un concerto del tour di OK Computer dei Radiohead...


Visto con: Vince, Gabri (Marco, Alex, Sara)
Scaletta: (Fitter Happier) / Lucky / Just / Airbag / Planet Telex / Bullet Proof..I Wish I Was / Climbing Up the Walls / No Surprises / Bones / Paranoid Android / Fake Plastic Trees / Exit Music (for a Film) / Let Down / Karma Police / Talk Show Host / Subterranean Homesick Alien / My Iron Lung / The Bends / Creep / Street Spirit (Fade Out) / Thinking About You / High and Dry / The Tourist

martedì 11 agosto 2015

105. 19 settembre 1997 - PRODIGY



The Fat Of The Land Tour
FilaForum (Assago)
Supporter: Marlene Kuntz
Durata: 1h 20'
Prezzo: 40000 Lire
Posizione: Spalti
Sold-Out: No
Pubblico: Pieno







The Fat of the Land, il celeberrimo terzo album dei Prodigy, ebbe una gestazione e (soprattutto) un travaglio decisamente complicato.

La band inglese ai tempi era conosciuta solo nei club che suonavano dance elettronica e/o indie music. Poison, Charly e soprattutto Out of Space erano spesso in scaletta al Raimbow di Milano, il club che in quegli anni frequentavamo religiosamente ogni venerdì.

Da amante del genere non potei far altro che rimanere a bocca aperta quando nel marzo del 1996 venne pubblicato Firestarter. Un pezzo durissimo, implacabile e straripante energia, accompagnato da un video inquietante, che spingeva sull'immagine folle di Keith Flint. Fu un fenomeno immediato.
Nel mio piccolo cominciai a raccattare qualunque cosa fosse stata pubblicata dalla band negli anni precedenti, soprattutto nelle mie frequenti visite a Londra. Il tutto per cercare di occupare il tempo nell'attesa dell'uscita dell'album, che però si faceva attendere. A novembre, dopo 8 mesi dal primo singolo, ne venne pubblicato un secondo, Breathe, che arrivò addirittura a far visita alla top 10 italiana dei singoli più venduti. Anche in questo caso il video non passava inosservato: atmosfere horror e un Keith sempre più Joker.

L'album veniva posticipato di mese in mese: nel mio negozio di dischi di fiducia arrivò, fornito dalla casa discografica, un quadro sulla falsariga di quello fotografato sulla cover di Firestarter, che invitava i fan a rilassarsi: l'album prima o poi sarebbe arrivato! L'attesa venne interrotta nel giugno 1997, a 15 mesi esatti dall'uscita di Firestarter. Fortunatamente le aspettative vennero rispettate: avevamo tra le mani un mezzo capolavoro. 


Insomma: tutto questo preambolo per farvi capire che il fenomeno Prodigy non fu esente da problemi e attese. E che il giorno di settembre del 1997 in cui finalmente andai a vedere il primo concerto che la band teneva in Italia, dopo aver aspettato un anno e mezzo un disco splendido, c'erano ottime possibilità di rimaner delusi.

Evento che si concretizzò solo in parte, fortunatamente.

Fuori e soprattutto dentro un caldo infernale. Non ricordo quale lampo di lucidità ci fece decidere di dirigerci verso gli spalti invece che in platea, forse la fauna di ragazzetti finto-punk che la affollava: col senno di poi la scelta si rivelò lungimirante.
Primi a salire sul palco i Marlene Kuntz, scelta discutibile visto per chi la gente aveva pagato i 4 pezzi da 10 per il biglietto. Con tutto il rispetto, la band piemontese stava ai Prodigy come la panna montata allo stinco di maiale.


Archiviata la pratica supporter arrivò il momento di Liam & Co. e scoprimmo come funzionano le cose sul palco dei Prodigy: Liam seminascosto tra le tenebre e le sue tastiere che, presumibilmente, 'suona' e fa cose coi computer. Maxim, insopportabile con quelle treccine, i denti finti, le lenti a contatto bianche e la voce capace solo di lanciar urli sgraziati (non m'è mai piaciuto) che suda, si agita e 'canta'. Keith vestito e truccato per Halloween che salta da un capo all'altro del palco (venne ribattezzato subito 'Pirlazza'. Dal milanese pirlare: gironzolare senza scopo) e Leeroy, che pare un tizio che aveva sbagliato festa, che balla un po' per i cazzi suoi. Volume da stordimento, suoni che si mischiamo in un enorme muro sonoro e fumo a profusione. E ciao ai suoni puliti, potenti e ignorantissimi che avevo amato in cuffia. Il risultato finale, in concerto, era proprio un'altra cosa. Divertente ma diametralmente diversa.
Provo a spiegarmi meglio: un conto è andare a vedere i Chemical Brothers o i Daft Punk che sono DJ e che ti fanno ballare sulle variazioni/remix delle loro canzoni (soprattutto i francesi. Gli altri ho sempre avuto l'impressione che premessero PLAY per poi farsi i cazzi loro per il resto del tempo...), tutt'altra cosa è portare dal vivo, strumenti compresi, una musica dance che in studio è iper-prodotta e tutt'altro che grossolana, nonostante la tamarraggine imperante.
Un po' uno shock devo ammettere, ma tutto sommato divertente, con un gran casino di ragazzetti tatuati a scalmanarsi come pazzi, sudati fradici nella bolgia della platea (e qui torniamo a quanto fu brillante la decisione di restare sugli spalti). 


Si tornava a casa. Storditi e col pensiero al concerto epocale, uno di quelli da top 10 di un'intera esistenza, che avrei visto di lì a un mese circa...

Visto con: Filo

SETLIST: Smack My Bitch Up / Voodoo People / Breathe / Poison / Everything We Do Is Gonna Be Funky / Funky Shit / Their Law / Narayan (Beats) / Serial Thrilla / Climbatize (Link) / Mindfields / Rock 'N' Roll / Firestarter / Gabba

giovedì 6 agosto 2015

104. 31 luglio 1997 - JETHRO TULL

Castello di Vigevano (Pavia)Durata: 2h
Prezzo: 40000 Lire
Posizione: Prato
Sold-Out: No
Pubblico: 5/6.000 p.c.












A volte cercare di ricordare qualcosa di un concerto visto quasi 20 anni fa risulta a dir poco complicato. Anzi: il più delle volte è del tutto impossibile.
Cercare poi di portare in superficie un immagine che abbia un senso ricordare, quando ad un live ti ci hanno portato e ti hanno pure pagato il biglietto ... fate voi!
Ad esempio, dei Jethro Tull a Vigevano ho salvato avvenimenti che nulla hanno a che fare con lo show: tipo che faceva caldo (sai che notizia: era fine luglio), che c'erano le zanzare (pure questa: Vigevano è una cittadina che sorge praticamente sulle rive del Ticino circondata da risaie!) e che il concerto iniziò e proseguì, per un bel pezzo, con la luce del giorno.
Li avevo già visti i Jethro Tull, qualche estate prima, al Rolling Stone. Ma allora me l'ero goduta di più, anche se in quell'occasione scoprii cosa significasse assistere in prima fila ad un concerto sold-out in un club, in piena estate.
Il bis sapeva un po' di zuppa riscaldata, soprattutto per me che pur apprezzando la band, non potevo certo considerarmi un appassionato.


Il mio rapporto con la band di Ian Anderson si chiuse quindi quella sera per raggiunti limiti di età (loro) e limiti di sopportazione raggiunti (miei). 

Visto con: Roby


Setlist: A Song for Jeffrey 
Dogs in the Midwinter / Aqualung / Thick as a Brick / Dangerous Veils / In Sight of the Minaret  (Ian Anderson song) / The Whistler / Beside Myself / Misére  (Martin Barre song) / Farm on the Freeway / Bourrée  (Johann Sebastian Bach cover) / Songs from the Wood / Too Old to Rock 'n' Roll, Too Young to Die / Heavy Horses / Jump Start / We Used to Know / Morris Minus  (Martin Barre song) / Flying Dutchman  (Intro) / My God / In the Grip of Stronger Stuff  (Ian Anderson song) / Nothing Is Easy / Locomotive Breath / Aquadiddley / Living in the Past  (Instrumental)

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